Orientamento sessuale, omosessualità e omofobia

  “L’orientamento sessuale si riferisce ad un modello stabile di attrazione emotiva,     romantica e/o sessuale verso gli uomini, le donne, o entrambi i sessi”

(American Psychological Association - APA).

 

L’orientamento sessuale è dunque un orientamento verso un sesso (femminile, maschile o entrambi), espresso in termini di attrazione emotiva, romantica e/o sessuale. Una persona omosessuale è dunque attratta non soltanto sessualmente ma anche affettivamente e romanticamente da un individuo dello stesso sesso.

 

Sono frequenti le persone che si rivolgono ad un terapeuta esperto in tematiche LGBT per poter parlare della propria vita e delle proprie quotidiane difficoltà esistenziali, da una parte senza il timore di essere etichettate come patologiche per il fatto di essere gay, lesbiche o transessuali, dall’altra senza dover impiegare troppo tempo a spiegare tanti aspetti della specificità dell’esperienza LGBT che molti colleghi ignorano.

 

Altre persone, giovani e non, chiedono di essere sostenute rispetto alla confusione e alla difficoltà che provano nel definirsi. Altre ancora chiedono un sostegno nel percorso che li porterà a fare coming out in famiglia, con gli amici o al lavoro; oppure per capire se e quando farlo e in quale modo; oppure ancora per sostenere l’impatto di situazioni di mancata accettazione da parte di persone significative.

 

Soltanto nel 1973 l’American Psychiatric Association (APA) ha tolto l’omosessualità dalla lista delle patologie mentali incluse nel Manuale Diagnostico delle Malattie Mentali (DSM) e ha introdotto la definizione dell’omosessualità come “variante non patologica del comportamento sessuale), riconoscendo la stessa esposizione alle patologie sia in persone omosessuali che eterosessuali. Nel 1993 anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha accettato e condiviso la definizione non patologica dell’omosessualità.

 

Nel 1998 L’APA “si offone ad ogni trattamento psichiatrico, come le terapie riparative o di conversione, basato sull’assunto che l’omosessualità sia di per sé un disturbo mentale o basato sull’assunto aprioristico che il paziente debba modificare il proprio orientamento sessuale”. E ancora nel marzo del 2000 l’APA nel “Position statement” sulle terapie mirate al tentativo di modificare l’orientamento sessuale afferma: “recenti e pubblicizzati sforzi di ripatologizzare l’omosessualità affermando che può essere curata sono spesso guidati dal non rigore scientifico o dalla ricerca psichiatrica ma a volte da forze religiose e politiche che si oppongono ai pieni diritti civili per gay e lesbiche. L’APA si propone di rispondere prontamente e appropriamente come organizzazione scientifica quando affermazioni che l’omosessualità è una malattia vengono fatte da gruppi politici o religiosi”.

 

Tale cambiamento riguardante le principali organizzazioni di igiene mentale non sempre è andato e va di pari passo con le nostre tradizioni sociali, religiose e politiche che hanno il loro DNA imbevuto di omofobia.

 

Non rilevano ciò soltanto gli anatemi continui ma anche le tante cautele e i tanti imbarazzi. Comportamenti e affermazioni comunemente considerati omofobici sono basati su:

  • paura,
  • imbarazzo,
  • pregiudizio,
  • disapprovazione.

 

Nel 1972 Weinberg ha coniato il termine omofobia per intendere le reazioni affettive ed emotive di:

  • ansietà,
  • disgusto,
  • avversione,
  • rabbia,
  • paura, 
  • disgusto,

che gli eterosessuali possono provare nel confronto con le persone omosessuali.

 

La discriminazione nei confronti di omosessuali si configura come un pregiudizio il cui nucleo cognitivo, costituito dallo stereotipo, è dato dalle false informazioni e credenze circa la loro presunta:

  • amoralità,
  • immaturità,
  • inutilità.

 

L’omofobia è dunque una disposizione negativa, personale e collettiva, psicologica e sociale, nei confronti delle persone e delle esperienze omosessuali e transessuali: dal generico disagio all’avversione esplicita, fino a manifestazioni attive di discriminazione, avversione attiva, deliberata aggressività.

 

   L’omofobia si manifesta molto spesso in forma interiorizzata generando nella persona:

  • scarsa accettazione e stima di sé (che può anche raggiungere la forma dell’odio di sé),
  • sentimenti di incertezza, inferiorità e vergogna,
  • incapacità a comunicare agli altri il proprio orientamento e/o la propria identità di genere,
  • convinzione di essere rifiutati,
  • depressione,
  • isolamento,
  • ansia,
  • abuso di alcool e droghe,
  • comportamento passivo,
  • identificazione con gli stereotipi denigratori.

Un crescente numero di ricerche indica il pregiudizio e la discriminazione come fattori rilevanti e misurabili di stress.

 

Lo sviluppo psicologico della maggior parte delle persone omosessuali e transessuali è segnato da una dimensione di stress continuativo, macro e micro traumatico, conseguenza di ambienti ostili o indifferenti, episodi di stigmatizzazione.

 

Questo fenomeno va sotto il nome di minority stress (Meyer e Northridge, 2006; Lingiardi, 2007).

 

Numerose ricerche dimostrano la significativa influenza negativa e diretta del minority stress sulla salute mentale di omosessuali e transessuali: alti livelli di minority stress possono infatti raddoppiare o triplicare il rischio di danno psicologico.

 

Chiunque può essere sottoposto a stress di natura generale ma le persone omosessuali sono facilmente esposte a stress addizionali.

 

La minoranza omosessuale è inoltre diversa dalle altre: difficilmente può contare su modelli positivi di riferimento e difficilmente trova sostegno nella propria famiglia che può anzi assumere atteggiamenti ostili e di rifiuto esplicito. Ancora oggi il bambino e l’adolescente omosessuale cresce perlopiù solo, cercando la comprensione e la conoscenza di sé nei media o nella letteratura. Molto raro e fortunato è l’incontro con adulti facilitanti o comprensivi e solo in un secondo momento arriva l’incontro con altre persone gay, bisessuali, transessuali, transgender, crossdresser, drag queen, queer o intersessuali.

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Dr. Nicola Gammone

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